...il vento, le onde e le montagne, sono sempre dalla parte dei navigatori e scalatori più abili.



 BASEITALIA  O.N.L.U.S


 

Alpinismo

B.A.S.E. Jump

Delta e 
Parapendio


Manuali

Nautica 

Paracadutismo
in alta Montagna


Paracadutisti 
Trentini

Rassegna stampa/TV

Sci alpinismo

Web master
Bepi Hoffe
r





 

 
 

IN ALLESTIMENTO

Nel 1976 ero nel pieno dell'entusiasmo per il paracadutismo. Un mondo nuovo da scoprire e da imparare a viverci, pertanto uno dei momenti più belli di qualsiasi nuova esperienza. Abbandonata momentaneamente la montagna, dedicavo le mie energie relative allo sport a questa specialità dell'aria, prendendo sempre più confidenza e elevando il mi livello emozionale nei confronti di quelle nuove paure da gestire rispetto al vuoto che ad ogni lancio mi tormentavano e bisognava gestire, anche determinate dal timore di sbagliare,  l'esecuzione dei continui esercizi per una lunga, veloce e continua progressione. Cominciavo ad essere a un buon livello tecnico, ero indipendente e come si sà i giovani se appassionati bruciano in fretta tutte le tappe. Lungo questo percorso si incontrano tanti altri ragazzi con la stessa passione con alcuni nasce un'amicizia determinata da un comune interesseche era quello di volare. Vi sono quelli che hanno una marcia in più: per il denaro da investire, per entusiasmo, per capacità in quella specialità, per determinazione, ecc. Fatto stà che si determina una "crematura" tale da fare in modo che si ritrovino sempre gli stessi a sostenere un certo ritmo. Uno di questi era Fabio. Appena giunto al Club e proveniente dalla "Folgore". Non perdeva un colpo e bel presto iniziammo a lavorare insieme. Eravamo bravi e non eravamo mai sazi di volare. Io conoscevo un mio compaesano il: "Paolo flacia", ex paracadutista e pioniere di deltaplano; aveva fatto diversi voli su un'ala Rogallo in prestito, chiamata "ferro da stiro", perchè pesante, scendeva veloce ed il pilota volava stando seduto. Andammo a Folgaria per vederlo volare: si lanciava insieme ad altri da Fondo Grande; rimanemmo ben impressionati e successivamente volemmo provare. Sia io che Fabio ci affidammo a Paolo, così ci fece partire in condizioni di vento non ideali su un campetto ovviamente poco ripido, il risultato fu una gran corsa dietro a questo delta che non si alzava con conseguente capitombolo. Così per diversi mesi non ci pensammo più, ma Fabio in seguito ebbe occasione di conoscere l'altoatesino Renner, gia pratico volatore e trafficante di acquiloni. Fece qualche campetto poi qualche volo e comprò, se ben ricordo un 90°. Va da sè che anchio comprai da questo Renner un Ikarus 200, bello leggero, e forse piccolo per me. Andammo a Bordala dove mi incoraggiò, dovevo usare il nuovo tipo di imbrago orrizontale anzichè da seduti, così mi alzai da terra e atterrai in piedi. Fatti cinque campetti, la mossa sucessiva é stata di effettuare il volo dal Monte Palon e atterrare all'aeroporto di Trento. Il concetto era: accertate le condizioni di "calma di vento" su tutta la quota riguardante il tragitto di volo, il problema dipendeva esclusivamente dal fattore psicologico, e questo era anche vero. Però sono rimasto a riflettere un'ora prima di decidermi a partire. (vedi "primo volo")   Iniziava così una innumerevole quantità di voli, tanti anche perchè erano di breve durata: 15 minuti al massimo. Il Monte Panarotta era il luogo ideale per effettuare un volo sicuro e avere sempre in vista il grande atterraggio di Barco in Valsugana.(vedi "primi voli") Fatta un po' di esperienza ci avventurammo sul Monte Orno, montagna che sovrasta il mio paese. Dovevamo lasciare la macchina in località "Compi" e scendere a piedi per un sentiero tra il bosco, dopo mezzora di cammino con il delta in spalla, giungevamo sul bordo del bosco, determinato da una profonda forra ghiaiosa al cui lato sx vi era una sottile costola di roccia molto ripida che all'inizio ci permetteva di effettuare tre passi molto decisi, atti a guadagnare il vuoto necessario perchè l'aquilone potesse calando, prendere velocità per poi volare. Montavamo i nostri 2 delta tra gli alberi del bosco riuscendo a portarli sul bordo con delicate manovre. Il luogo molto panoramico e pericoloso, creava un impatto emozionale tale che nessuno si é mai permesso in quei tre passi di inciampare, sarebbe stato fatale ma, fatti quelli era un decollo magari più sicuro di altri. Oltre all'attività infrasettimanale quei giorni che facevamo paracadutismo, immancabilmente andavamo poi a fare un volo in deltaplano. La n0ostra macchina portava quasi sempre il delta più tutto il resto. Ricordo la volta che con Fabio andammo a fare lanci di routin a Belluno, al pomeriggio andammo a prendere una seggiovia, delta appresso e volo. D'altronde per diventar bravi serve fare tanta attività. Appena venduto all'amico paracadutista l'Ikarus 200, comprai il 500 uguale a quello di Fabio e lì fù un totale salto di qualità. Non era sensibile alle termiche ma in compenso con forti condizioni, tipo: venti barici, temporali in vista con conseguenti condizioni e la maggior efficienza ci consentiva quasi tutto.In una settimana di estate andai con la famiglia in ferie a Corvara; con il delta per ogni evenienza, perchè sapevo che qualche valligiano conosciuto nelle paraski volava, tipo Willy che raccontava di essere decollato senza agganciarsi e ovviamente accortosi, era riuscito a tenersi aggrappato al trapezio, tirarsi su, mettersi coi piedi sulla barra orizzontale e spostando il corpo mantenere il delta in volo fino all'atterraggio...Mah: Comunque ho conosciuto Hannes, lavorava in un negozio come commesso, molto bravo a volare e con materiali in uso d'avanguardia. Con lui feci alcuni bei voli e prima di rientrare a casa comprai un bell'imbrago usato, comprensivo di paracadute di emergenza. Quello fu un'altro salto di qualità da un punto di vista psicologico ma prima di capire che tale imbrago andava modificato feci fari decolli da brivido e molto pericolosi. Praticamente aveca dei cordini agganciati alle spalle collegati con le gambe, passavano da una carrucola sostenuta dall'aggancio al delta; in poche parole, quando decollavo mi alzava i piedi prima che finissi di effettuare la corsa voluta. Dai una volta, dai dieci volte, la penultima é stata sull'Orno: decisi di decollare dal lato dx della costola che dava direttamente sul ghiaione, bastavano due passi, al momento di fare il secondo la barra orizzontale del trapezio grattava sul piano roccioso, lo slancio e il vuoto fino al ghiaione sottostante mi diede la possibilità di risolvere il problema che poteva anche essere determinato dalla mia sensazione di trovarmi gia fuori, causa dell'emergenza stivata in una tasca chiusa con velcro all'altezza dello sterno , la quale mi impediva di vedere esattamente dove metto i piedi: su l'orlo o qualche centimetro prima. La seconda volta , quella definitiva, fu sempre dall'Orno: Partii deciso lungo la ripida costola rocciosa con forte slancio, anche perché velocità eguale sicurezza, feci due passi e i famosi cordini collegati alle gambe con due fasce di velcro mi impedirono di fare il resto; l'Ikarus 500 puntò molto più basso del solito, sul lato dx delle rocce spuntava la punta di un pino, la presi a metà ala dx la quale cominciò a girare il delta verso dx, quando l'alberello, al passaggio dell'ala fece reisetenza sulla sua estremità ebbe ovviamente grande effetto sul baricentro della vela e mi trovai nel vuoto a quasi 180° dalla direzione a valle, praticamente con la "prua" (punta)verso la montagna dove iniziava il ripido ghiaione. In quel caso il mio noto temperamento aggressivo ed attaccante in questo caso ebbe la meglio: racconto a posteriori perché come si sà in quei momenti aziona esclusivamente l'istinto, tirai al massimo verso le gambe il trapezio per anticipare una successiva situazione di stallo e nello stesso temo mi buttai di peso a sx. Il mio caro Ikarus girò su se stesso, dapprima con la punta in orizzontale che scorreva relativamente veloce verso la salvezza, mostrandomi tutta la fila di larici o abeti del bosco interrotti dal ghiaione, poi il mio peso in avanti prendeva il sopravvento, il bosco si alzava fin sopra di me ma la ghiaia sottostante mi lasciava ancora quota per volare sicuro in presa di velocità verso la valle. Con l'allenamento, come un atleta che corre, il recupero é veloce, così lo é stato per me, passata la cosa non si rimane impressionati ma si va avanti con il dispiacere di aver rischiato... Dopo l'atterraggio trovai Claudio Toldo appassionato e futuro volatore che che nel chiedermi come é andata, vede e toglie il rametto di pino rimasto impigliato sul tenditore a metà ala, si da anche la risposta: " lei nada ben vedo". Andai a casa sua, appendemmo l'imbrago al poggiolo, togliemmo i velcri alle gambe, aggiunsi una staffa per i piedi e una tavoletta di plastica atta a sostenere le gambe appena sopra le ginocchia, regolammo il tutto e non ebbi più noie.  Intanto facevamo proseliti, tra il tournover di accompagnatori usciva qualche nuovo appassionato: Claudio Toldo,Fabio del Pont, questo succedeva anche nell'ambito dei paracadutisti, come Polo, Segantini, Faes con il suo amico Andrea e tutta la combriccola di Sopramonte con: Riccardo, ecc. Avevamo contatti con i volatori di Folgaria e delle Ali Azzurre di Rovereto e dintorni.  e  I voli si intensificarono in senso qualitativo   .        

 

grattato la roccia appena dopo aver fatto un passo ma con lo slacio