L'atterraggio del 14.07.90 sul Monte Bianco, già ripercorrevo mentalmente il
programma che mi ero proposto fin dall'inizio: era ora di pensare al
"Matterhorn"
Cervino 4478
metri di roccia e
ghiaccio. Come una pinna di squalo che
solitaria emerge nell'immenso mare d'aria
della Valle d'Aosta.
Una mia prima ricognizione risale a tre anni fa, lungo la cresta di Hornli,
durante la quale fui respinto dal brutto tempo.
L'anno scorso feci un'altra ricognizione, salendo per la cresta del Leone, così
mi convinsi che sarei atterrato su quella splendida cima. Uno dei problemi di
difficile soluzione rimaneva quello di non cadere dalla cresta subito dopo
l'atterraggio.
Per questo, insieme al mio compagno d' arrampicata, la guida Giovanni Groaz,
studiai a lungo il modo migliore per limitare questo rischio e arrivammo alla
conclusione che una grande rete costruita con corde da roccia da 9 mm. Avrebbe
fatto al caso nostro.
Passavano i mesi ed intanto il Cervino da sogno era diventato un chiodo fisso.
Documentandomi e osservando attentamente immagini fotografiche e cartine, vidi che l'unico posto buono per
atterrare era sulla cresta somitale, all'uscita
dalle due creste: quella
di Hornli e quella del Furggen.
Per una
lunghezza di dieci metri, dove c'è la statua del "Frate", in corrispondenza
della quale la cresta si allarga un po’ ed é leggermente in salita.
Per atterrare con il paracadute in vetta, l'ingresso più
sicuro era da Est, poiché in
altri casi ci saremmo portati al traverso della cresta o in discesa. Pensavo che
le condizioni ideali sarebbero state vento da Ovest massimo sei nodi, oppure da
Nord Ovest. Se si fossero verificate condizioni di vento da Nord, avremmo potuto
sfruttare la dinamica di pendio sulla parete Nord, ottenendo un atterraggio più
dolce. Saremmo dovuti entrare a 90° dall'asse vento, cercando di mantenere una
posizione sopravvento alla cresta ed effettuando al momento della frenata, un
atterraggio con "flaire", (mettere la vela in stallo)
esponendo maggiormente il paracadute al vento per
evitare uno scarroccio laterale che in quel momento sarebbe fatale.
All'inizio
di quest'estate, Maggiori mi telefona chiedendomi di organizzare un lancio sul
Monte Rosa, ed in questa occasione io accenno al Cervino. Maggiori è pilota di
jet, e sorvolando la montagna, la ammira spesso, e sorridendo mi dice: " Mi
sembra impossibile, ma dove vai tu vengo anch'io". Decidiamo di tenere il Monte
Rosa come obbiettivo secondario. Maggiori è già atterrato con mè sul
Monte Bernina e sul
Monte Bianco,
lo scorso anno. Lui è incaricato di verificare le condizioni meteo idonee a 180
di livello, ed è facilitato in questo dal suo lavoro; inoltre si occupa di
ottenere i permessi necessari, tramite Ginevra, per il controllo dello spazio
aereo, essendo responsabile quale istruttore. Io mi occupo del resto. Ai primi
di Luglio ci mettiamo in "stand-by" e sulla base delle condizioni meteo di ogni
giovedì avremmo deciso se partire o no con le operazioni. Nel frattempo si
aggiunge a noi Goio, un assicuratore di Courmayer, bravo paracadutista e con un
po’ di esperienza alpinistica. Già da mercoledì 28 agosto, le previsioni
sembrano buone, e quindi ci fissiamo l'appuntamento alle ore 19 del giovedì
all'aeroporto di Aosta.
Al "Briefing" partecipano, oltre a noi tre, il pilota dell'aereo (un Cesena
207 messo a disposizione da Sciscere, delegato dell'Aero Club di Aosta), il pilota
dell'elicottero Lama dell'Elitecnica, Com.te Rossi, Groaz (responsabile di vetta) e due
collaboratori addetti ai materiali e ai collegamenti radio; tre uomini della troupe
televisiva Sirio incaricati dalla RAI di documentare il lancio, sarebbero arrivati il
giorno dopo. Insieme stabilimmo il programma per i prossimi giorni:
-Venerdì
Decollo con elicottero Lama pilotato dal
C.te Rossi, alle ore 06.30, per la ricognizione in vetta
e sul punto di
atterraggio; alle ore 16.00 presso l'aeroporto di Aosta avremmo predisposto tutti i materiali per il giorno seguente,
e costruito la rete di corde.
-Sabato e Domenica, i lanci.
La sveglia è per le ore 05.30 ed appena fuori della stanza mi accorgo che il cielo è
coperto per sette ottavi a circa 3000 piedi. Telefono a Plateau Rosà e mi confermano: "Assenza di vento e cielo sereno".
Non ci resta che aspettare che si alzi un po di sole, ed alle ore 07,00 di
venerdì 30 agosto, l'elicottero decolla con a bordo noi tre paracadutisti e Groaz, tutti
equipaggiati e con l'abbigliamento ed in materiale alpinistico necessario.
Il Com.te Rossi cerca un varco tra le nubi, e dopo un incerto roteare riusciamo a
varcare lo strato di nubi. Lo spettacolo è incantevole: sotto di noi un mare bianchissimo
e sterminato di nubi, dal quale emergono come piccole isole le cime più alte, a Sud, e
poi la pianura, nella quale lo sguardo si perde.
Ad Ovest il Monte Bianco si presenta imponente, a Nord-Ovest abbiamo la Dent d'Herin e
la Dent Blanche.
Davanti a noi abbiamo il
Cervino
con la parete Sud tutta nera, impressionante, non ancora illuminato dal
sole. Senza la porta, in elicottero comincia ad essere freddo, ed in lontananza scorgo il
nostro secondo obiettivo: anch'esso è ancora scuro ed il gioco di luci ed ombre crea
un'atmosfera inquietante.
Temo di avere esagerato nel decidere di atterrare in cima al Cervino. Ed anche il Rosa,
presso la capanna Margherita, pur essendo più ampio, visto da qui non mi incoraggia
molto. Mi domandavo a cosa stavano pensando gli altri due, e cercavo di rassicurarmi che
tutt'al più non sarei atterrato in cima.
Cominciammo ad intravedere la parete Est, tutta soleggiata, e poi l'impressionante
scivolo
della
parete Nord,
completamente innevata.
Il morale comincia a salire, rivedo i luoghi dove ho arrampicato, i bivacchi, e
infine la cresta sommitale con qualche alpinista in cima.
Individuo il punto di atterraggio: mi piace. Sono sicuro di farcela!
Guardo gli altri e colgo nella loro espressione la mia stessa sicurezza.
L'elicottero fa ancora qualche giro. Nessuno di noi avrebbe voglia di scendere;
anche il pilota è molto teso e così decidiamo di rientrare subito in aeroporto.
Siamo entusiasti, eccitati e fiduciosi. Solo il pilota mi è sembrato un po
incerto o perplesso
Mah, vedremo domani!
Tornando, sorvoliamo la vetta della Dent d'Herin, passiamo sulla verticale del rifugio
Aosta e quindi cerchiamo di rientrare in aeroporto, ma le nubi ci obbligano ad un
atterraggio in un alpeggio nei pressi di una malga, dove facciamo un'abbondante colazione
con polenta e ottimi latte e formaggio. Dopo tre ore è possibile decollare. Nel tardo
pomeriggio, Giovanni, Andrea ed io, iniziamo a costruire la rete di 20m x 20, da collocare
in cima.
Intanto Maggiori va a parlare con il pilota dell'elicottero (lui era la persona più
adatta , avevano scoperto di avere amici in comuni); quello che gli deve dire non è molto
"carino": "O scarichi i tre che fanno da base in cima, come d'accordo, o
noi non ti paghiamo." Decidiamo poi di anticipare il lancio di mezz'ora, in quanto le
prime cordate arrivano in cima, salendo dalla cresta di Hòrnli, verso le 07.00; quindi
sarebbe stato opportuno atterrare verso le 06.30.Groaz, con l'elicottero sarebbe dovuto
partire prima, per predisporre tutte le attrezzature (anemometro, fumogeni, reti e
chiodi). Questo materiale ci avrebbe potuto servire anche del caso in cui fossimo stati
costretti a ritornare arrampicando.
Quando Maggiori ritorna in aeroporto e vede la rete ,è proprio convinto: "Con
questa non abbiamo più problemi". Goio si presenta al briefing della sera; è molto
preparato e coraggioso, non ha quindi problemi, e poi si fida di noi. Una cena leggera, e
poi subito a letto. Io ero tranquillo, mi sentivo sicuro. Certo il giorno seguente ci
aspettava un lancio impressionante, ma ormai eravamo tutti lì e non ci si poteva certo
tirare indietro; e poi mi dicevo che a 100m di quota sopra la cima avrei valutato la mia
posizione, ed in ogni caso, con una leggera correzione, avrei avuto ancora quattro o
cinque secondi per andare via. Cosi, mi rivedevo a memoria le vie di fuga, ipotizzando le
varie direzioni del vento. Sapevo che se avesse soffiato da Nord, e trovandomi sopra la
cima mi fossi diretto a Sud sarei entrato nella zona sottovento: in queste condizioni, a
4000 metri si ha una caduta molto maggiore rispetto all'avanzamento. Questo costituiva un
problema grave, poiché la montagna ha una forma piramidale, alla base si allarga, e
sarebbe stato facile rimanere intrappolati su qualche sperone roccioso o paretina, e
rotolare verso valle. Pensavo che se qualcuno di noi avesse dovuto atterrare a valle,
sarebbe rimasto "da cani" neanche gli altri avrebbero avuto la soddisfazione
completa del lancio riuscito e del comune traguardo riuscito insieme.
Ma una considerazione mi lascia prendere sonno: molto difficilmente le condizioni
saranno perfette, e quindi è ancora tutto da vedere. Squilla la sveglia alle 04.30, ma ero
già sveglio. Vado subito sul terrazzo della mia stanza e guardo il cielo. E' tutto sereno
e subito mi sento teso, non ho più voglia di sorridere ne pensare a qualcosa di diverso
da quello che devo fare. Nelle altre stanze sento gli altri prepararsi. Sono tutti un
po tesi. Anche un altro ponte radio mi sembra crei uno stress in più, e così mi
accordo con Groaz che appena decollati dalla base dell'elicottero, facciano un passaggio,
in modo da farci sentire il rumore: noi trenta minuti dopo decolleremo.
Partono quindi i due gruppi: il primo con la guida, un aiuto guida ed un
cameraman per
la cima; il secondo gruppo farà base presso una diga nelle vicinanze del Cervino e quando
passeremo con l'aereo e saremmo prossimi al lancio, li chiameremo e loro, già imbarcati
in elicottero, saliranno per effettuare le riprese TV e le fotografie.
Con Goio e Maggiori facciamo una rapida colazione ed iniziamo quindi subito gli
esercizi di respirazione: è consigliabile un'ora di ossigenazione a terra, prima di
operare a 6000 metri. Avevamo predisposto il giorno prima, una bombola di ossigeno con tre
boccagli, seguendo apposite tabelle e preparandoci tutto il materiale in ordine, per
ciascuno di noi: non trovare qualche cosa al momento del decollo sarebbe stato spiacevole.
Finalmente sento l'elicottero, ha trenta minuti di ritardo, e questo mi crea non poco
disagio: troveremo alpinisti in vetta, ed anche il sole sarà più alto. L'elicottero è
decollato al buio, penso a quelli che sono a bordo: a Groaz, che non ha molta simpatia per
gli elicotteri, e che qualche minuto prima di partire mi ha detto: "Lo faccio solo
per te". Lui non è un paracadutista, ma un alpinista con la "A" maiuscola,
ed è un po preoccupato ; qualche anno fa ha fatto la Nord del Cervino in cordata
con sua moglie ed è stato colto da un temporale uscendone indenne.
Era ora di imbracarsi e oltre tutto quello che è necessario normalmente, avevamo in un
marsupio una bomboletta di ossigeno della durata di otto minuti, che doveva essere ben
protetta in modo da evitare la sua apertura per qualche movimento brusco; mi sistemo
l'elastico che tiene in boccaglio, mi infilo il casco.Ci incamminiamo subito verso l'aereo, dove sono depositate tre bombolette con adeguati
erogatori, che regolano la pressione dell'ossigeno in base alla quota. Il pilota è già a
bordo, ha il terzo grado, ma ha ottenuto da poco l'abilitazione al lancio paracadutisti.
Gli diciamo che comunque è un normale lancio anche se la concentrazione sarà molto
superiore.
Decolliamo alle 06.20 e ricordo che l'anno prima alla stessa ora stavamo decollando per
la cima del Bianco; le procedure si ripetono con lo stesso ordine, l'emozione però non è
la stessa, ora siamo più esperti in questo genere di cose, e la compagnia al seguito è
meno folta di amici. L'anno scorso era stato davvero bello, tutto si era svolto in un
clima di grande amicizia, e fare le cose con chi vuoi tu dà maggiore soddisfazione.
Siamo ormai a tremila metri di quota, e mi collego subito con Groaz, tramite una radio
portatile, per chiedergli le condizioni meteo. Il vento viene da Nord, sei nodi. Groaz è
un po in ritardo con la collocazione della rete. Rimaniamo sopra la valle per
prendere quota, cercando di non disturbare nessuno, vista l'ora. Lo spettacolo intorno è
grandioso, ed il cielo è limpidissimo e ci lascia guardare un susseguirsi continuo di
valli immerse in una leggera foschia, che in controluce riflette il sole. Le cime più
alte spiccano maestose, dando un senso di profondità di campo a tutto l'ambiente.
Maggiori con la radio portatile, sulla frequenza aeronautica, è in contatto con
l'elicottero a terra, pronto a decollare,mentre il pilota contatta Ginevra controllo per
la conferma dello spazio aereo libero.
Chiedo al pilota di passare a pochi metri dalla cima, in modo da poter controllare gli
altimetri: ne ho uno tarato sulla quota assoluta (QNH) e uno che cerco di azzerare a
livello della cima, pur stando in aereo (QFE), pur sapendo che Questo sistema non
garantisce una grande precisione. Continuiamo a roteare e a prendere tempo, in cima c'è
qualche difficoltà per sistemare bene la rete. Man mano che passa il tempo, sento
crescere il bisogno di ossigeno: la tensione stà salendo e mi scuso con il pilota per i
comandi molto bruschi che gli stò impartendo; lui capisce che è un modo per scaricare la
tensione.
L'ultimo, di una serie di fumogeni che accendono in vetta per mostrarci la direzione
del vento, mi lascia capire che le cose stanno cambiando: appena il fumo si alza sopra la
cima di 100m, va in direzione Ovest. Chiedo agli altri se hanno osservato questo
cambiamento e dico a Maggiori di far partire L'elicottero. Comunico a Graz che rete o no,
fra dieci minuti saltiamo! Al pilota chiedo di portarci a quota lancio. A 6000 m. chiedo a
Maggiori dov'è l'elicottero, e mi risponde che è in zona pronto per le riprese alla
stessa quota della cima, ma non vuole salire oltre. Penso, con disappunto, che avevamo
dato proprio una bombola per il pilota, che però aveva assicurato che non gli sarebbe
servita. Gli avevo anche chiesto se il giorno prima avesse avuto problemi di
governabilità, dato che l'unico punto di riferimento è l'orizzonte, peraltro molto
grande ed affidarsi agli strumenti può creare difficoltà. Tutto era gravato dal fatto
che l'elicottero era un Lama, e che il pilota tendeva a infastidirci con l'aria prodotta
dalle pale.
Comunque a quel punto le riprese non avevano più alcuna importanza, ed avevo chiesto
la posizione dell'elicottero per non trovarcelo in coda o ad una quota più bassa al
momento del lancio. Chiedo al pilota una correzione di 90° e l'aereo si porta sulla
verticale di Plateau Rosà, in direzione sud, poi 90° a destra, e, subito dopo, la
verticale di Cervinia, altri 90° a destra.
"Entriamo!", grido agli altri. Maggiori sta sulla porta per dare l'ultima
correzione sulla verticale della cima con l'asse del vento, ma è un po
disorientato, non vede la cima che è sotto di noi. "Fai un altro giro come
prima!" ed il pilota esegue esattamente la manovra; è da mezzora che non parla più.
Non ho paura, non penso all'atterraggio in cima e nemmeno allo spettacolo visto da
quassù, peno ad attivare la bomboletta un attimo prima del lancio, ed a fare in modo che
non si inceppi qualcosa. Siamo di nuovo sulla verticale, e Maggiori dà una leggera
correzione di 20° Est, e poi "motore" (Parola usata prima del lancio per
avvisare il pilota di rallentare l'aereo), ma in questo caso sfruttiamo la velocità
dell'aereo per una migliore apertura del paracadute, vista la rarefazione dell'aria a
questa quota.
Goio salta per primo, attivo la bomboletta, sento l'ossigeno uscire dal boccaglio e
salto deciso senza emozioni, come un'automa. Sotto di me, lo scivolo della parete Nord
così come lo avevo immaginato; apro il paracadute dopo cinque secondi. Mi porto sopra la
cima, ma a quella quota non si ha la sensazione da che parte tiri il vento, proprio
perchè i riferimenti orografici sono troppo lontani: ho la sensazione di essere
piccolissimo, in mezzo alla densità di quel fluido, e distante dall'orizzonte che traccia
una grande linea continua, come tra il mare e il cielo.
Sono un po istupidito, come improvvisamente deconcentrato. Ho nuove informazioni
da elaborare. Vedo molto più in alto di me Maggiori, spostato molto in là, ma poi mi
accorgo che sono io ad essere in una posizione molto laterale, e immediatamente metto a
fuoco la situazione. Mi porto sopravento verso Est: è precisamente il contrario di come
farei in una normale gara di precisione, e cioè sul finale dovrò entrare col vento in
coda.
Sono ipnotizzato dalla cima, mi sforzo di guardarmi in giro per fotografare mentalmente
queste
rare immagini,
ma a quella quota il tempo vola e comincio ad osservare Goio che si trova a circa 300m.
sotto di me: trarrò preziose considerazioni dalle sue manovre.
Avevamo disposto che lui avrebbe dovuto tracciare le vie di fuga senza atterrare in
cima, qualora non si fosse trovato in ottima posizione. Era la sua prima esperienza in
montagna, anche se l'esperienza in questo caso conta fino ad un
certo punto. Bisogna
atterrare con decisione sul bersaglio e per questo Goio non ha problemi, essendo un campione di
precisione. Lo osservo ancora, e vedo che
atterra in cima
, due metri dietro di lui il salto della
parete Est. Sono a trecento metri e mi sento invadere da una grande energia, che mi rende
tranquillo; non sbaglio nulla nei miei ratei, che si fanno via via sempre più stretti in
un cono ideale al cui apice stà l'atterraggio. Sento il vento che tenta di spingermi, mi
metto al traverso rivolto a Sud, e guardo il bersaglio sulla destra.
Sono attimi, so' di
non poter girare né un istante prima, né un istante dopo, mi sento troppo sopra, all'ora
allungo ancora un po verso Sud. Ho la testa girata del tutto, con i comandi a mezzo
freno, e decido di girare verso la vetta.
Tutto accade molto istintivamente. La vetta stà salendo
rapidissimamente verso di mè, sono a cento metri e sento di non sbagliare; Dopo una
frazione di secondo vedo con precisione dove vado a finire: su un gruppo di quattro
rocciatori, seduti in cima a riposare. Non mi stanno guardando, grido per attirare la loro
attenzione e aspetto una loro reazione. Si trovano proprio nel posto scelto per atterrare,
e non si spostano neanche per un attimo, nemmeno su richiesta di Groaz. Istintivamente
allento un po la frenata, per cadere due o tre metri più lungo, ma aumenta la
velocità, gli occhi mi si spalancano, mi preparo all'impatto. Mi sento al sicuro sopra un
passaggio obbligato; da un lato scende la Nord, e mezzo metro a sinistra precipita il
salto verticale della Sud, vedo lo spuntone di roccia contro il quale tra poco mi
scontrerò.
Lo scontro è violentissimo, resto lì come fossi diventato un tutt'uno con la
montagna, improvvisamente tranquillo, libero, senza più chiodi fissi e paure di farmi
male. Non devo organizzare più niente. Il lancio non era ancora finito: avevo visto
atterrare Goio un po "corto", ma bene; "adesso c'è ancora
Maggiori", mi dicevo, ed era come lo sentissi arrivare, piegato com'ero sulla
roccia, ma non lo potevo vedere. Maggiori atterra sulla neve ghiacciata della parete
Nord, sulla rete di
corda, il suo paracadute rosso si affloscia ad un metro in fianco a
me. Cerco di sollevarmi per afferrarlo, ma i piedi non mi reggono. Trovo un appiglio e mi
trascino verso il suo paracadute. Vedo altre mani che lo afferrano, e Maggiori aggrappato
alle corde,
ormai al sicuro
in cima anche lui alla Nord del Cervino. |
IMMAGINI CORRELATE
Anche si ritrovassero tutte le condizioni
per rifare il lancio, verrebbe a mancare quel senso di sfida personale
e di nuovo, stimolo necessario a superare
le difficoltà organizzative che lo svolgimento in sicurezza richiede.
- il Base jump, scrivo di esso perché é quello
che faccio adesso, lo
paragono ad un alpinismo di media difficoltà per quanto riguarda il rischio
ma di elevata emozionalità e "fifa" nei primi lanci. Tanti contano
sull'apertura sicura del paracadute, mentre nel ParAlpinismo questa
sicurezza viene solo, da dentro se stessi. -
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