|
Lunedì 26.06.2006
Si
parte verso le 8.30 – 9. C’è un bel vento, fa quasi freddo, il cielo non
è limpidissimo. Finalmente si va a vela. Si incrocia il barchino di un
pescatore, che ci vende un polipo (10 €uro). Appena fuori dalla baia
cala il vento: di nuovo a motore. Il mare è calmissimo. Il panorama è
suggestivo: si naviga come scorrendo in un largo canale fra isole
lunghe. Verso le 12.30 si “approda”, con attracco ad un gavitello, in
una bellissima baia perfettamente rotonda, “chiusa” da un’isola rotonda
(isola Utra) posta proprio in mezzo all’entrata della baia: lascia
libero il passaggio per l’entrata e per l’uscita delle barche a destra e
a sinistra (una specie di senso unico ...). E’ la baia di Lucina. C’è un
piccolissimo paese con darsena sulla sinistra (entrando). Siamo più
vicini alla sponda destra, delimitata, a pochi metri dal mare, da un
muretto di sassi a secco (muretti tipici di queste isole), oltre al
quale c’è fitta vegetazione selvatica. Si fa il bagno. L’acqua non è
molto calda, ma piacevole. Guido e Sebastiano vanno a nuoto fino a riva
con l’incarico di trovare rosmarino e salvia selvatica, ma tornano a
mani vuote. Nel frattempo sta cuocendo (da un’ora e mezza!) il polipo,
pulito a regola d’arte da Bruno. Il pranzo è servito: ottima insalata,
appunto, di polipo (un po’ duro ...), patate arrosto, peperoni, capperi
e ....
Si riparte subito dopo pranzo, verso le 14. Si naviga per diverse ore
(naturalmente verso sud – sud/est) in mezzo alle isole, coperte da
vegetazione folta, verdissima e selvaggia.
Verso le 17 arriviamo nella zona delle isole Incoronate (Kornati),
la nostra meta. Le isole sono “parco naturale”. Il paesaggio è davvero
suggestivo e sorprendente. Sono isole brulle, sembrano cime di alta
montagna, arrotondate, coperte di prati stepposi dai quali spicca
qualche albero isolato, rigoglioso e panciuto. Sembrano pini
mediterranei dalla forma strana (probabilmente sono lecci). Il mare è
così calmo da sembrare lago, con isole e isolette surreali. Verso le
17.30 – 18 si attracca al piccolo molo dell’isola Katina: c’è
solo il molo ed il ristorante,
suggestivo, con terrazzo all’ombra di
vasi di pini, di oleandri, olivi: che si chiama, appunto, ristorante “Katina”.
All’ormeggio ci sono molte barche belle e lussuose. Daniela, Valentina,
Guido, Bruno e Bepi vanno a vedere “la partita” (Italia-Australia) al
bar del ristorante. Io mi avvio a piedi lungo la riva (sassosa, aspra:
non si può camminare senza scarpe) e, con i sandali, vado a fare il
bagno verso la punta dell’insenatura, mentre la famiglia
di Attilio fa il
bagno partendo dalla barca. L’acqua è calma, liscia, piacevolmente
calda: ma non è proprio pulitissima.
Non si può fare la doccia al ristorante. Si possono utilizzare solo i WC
ed i lavandini. Domani mattina ci permetteranno di imbarcare acqua (ma
non tanta quanta ne vorremmo). In attesa della cena a base di aragoste,
prenotata per le 21, Guido, Bruno, Attilio ed io ci “arrampichiamo “ su
per il
sentiero
che parte dal ristorante, lo aggira, e, alla piccola sella, gira verso
destra, su verso la cima dell’altura sovrastante. Io ho ai piedi i
sandali marrone, ma sono appena appena sufficienti, ci vorrebbero almeno
scarpe da ginnastica perché si deve camminare su sassi taglienti e rocce
bucherellate, tormentate, carsiche. Arriviamo fino alla croce ed ai
curiosi cumuli a piramide di sassi. Da qui si gode un panorama di ampio
respiro, spettacolare, bellissimo, nel tramonto calmo e luminoso. C’è
tanta salvia selvatica, profumata.
Cena a base di spaghetti con astice, aragosta ed altri pesci:
buonissimi. Ci sembra che il conto sia abbastanza salato (circa 45,00 –
50,00 €uro a testa = circa 350 kune), ma domani ci renderemo conto che
nel prezzo è compreso l’attracco al molo ed il rifornimento di acqua. In
barca, Attilio ci canta alcune canzoni-cabaret.
Martedì 27 giugno
MI
sveglio alle 8.30. E’ bel tempo, caldo. Guido e Daniela sono saliti di
buonora sull’altra “cima”, a sinistra del ristorante, e scesi fino ad
un’altra piccola baia. Dicono che c’è un molo ed una simpatica casa sul
mare, in mezzo all’ombra di alberi maestosi: è un posto “per picnic” per
i turisti portati fin là dai “barconi”. Si sono deliziati con un bagno
in mare piacevolissimo.
Prima di ripartire si deve aspettare non meno di un’ora per poter
imbarcare acqua. Wanda, Attilio, Sebastiano, Valentina, Bruno ed io a
piedi risaliamo allora la costa fino alla “forcella” e quindi, anziché
salire sulla cima di ieri, scendiamo dall’altra parte, fino ad una
baia deserta che ieri abbiamo visto sotto di noi dall’alto. Ci
vogliono le scarpe o almeno i sandali. Si fa un bagno stupendo: acqua
pulita e calda. A Valentina prende un crampo all’alluce di un piede:
doloroso, ma, per fortuna, ormai lei è fuori dall’acqua. Bruno riesce a
curarla e a sbloccare il piede.
Si salpa. Si aggira una punta lasciando, sulla sinistra, un faro. Si
imbocca una specie di largo fiordo (“Luka Telašćica) suggestivo
tra lunghe file di isole ed infine si getta l’ancora molto vicino alla
riva, in una piccola insenatura, non molto più in là di un gruppo di
barche attraccate ad un molo che lasciamo alla nostra sinistra. Al di là
del crinale sopra il molo c’è il “Lago Salato”, che però non
visitiamo: è caldo, preferiamo fermarci a fare il bagno. Mentre, a
bordo, si pasteggia di gusto, si affianca alla barca un gommone con due
guardiani a bordo, che ci fanno pagare il biglietto “di ingresso nel
parco delle Incoronate (”Telašćica Sali-Hrvatska”): 50 kune a testa (=
circa 7,15 €uro).
Si comincia infine il viaggio di ritorno. Si va verso l’isola Iž.
Il mare è calmissimo, poco vento. Ogni tanto si può issare le vele.
Verso le 19 si arriva nel “canale”. Alla nostra sinistra si allunga
appunto l’isola Iž e alla nostra destra l’isola Knezak, al
di là della quale c’è Zara (Zadar). Passiamo oltre il paesino di
Knež, alto sul crinale dell’isola Iž. Dopo il bagno (barca
all’ancora) si va ad attraccare al molo della “marina” del paesino di
Iž Veli. Mentre alcuni vanno a fare la spesa (si spende poco), io
vado a fare un giretto. Case e casette arrampicate sulla costa ripida,
tutte in via di abbellimento; tanti piccoli e piccolissimi orti. La
chiesa è chiusa. La “piazza-strada” del porto è tenuta in modo molto
accurato. I servizi della “marina” (docce, WC) sono pulitissimi, con
acqua calda. Alle 21 andiamo a cena alla trattoria “Konoba Luzarija”.
E’ molto “alla buona”, con tavoloni “paesani”, gente gentile e premurosa
(una delle signore parla un po’ di italiano). Si mangia la specialità di
spiedini di carne, tipica della Croazia; Bepi ed io mangiamo però un
pesce fresco ciascuno (non ce ne sono più per gli altri): non sappiamo
che pesci, ma sono buoni. E poi: insalata di “capussi” freschi a
volontà, patatine fritte, vino bianco “della casa” sfuso, birra. Bruno
infine si prende il dessert tipico, di cui è goloso: la palacinka, in
pratica omelette con marmellata. Si spende pochissimo: circa 13,00 €uro
a testa.
Si torna in barca e io dormo come il ghiro fino alle 8.30 della mattina
dopo. In porto ci sono molte barche, una più bella dell’altra. C’è anche
una nave-cisterna grigia. Si paga la “tassa” per l’attracco. Ne vale la
pena.
Mercoledì 28 giugno
Prima della partenza Bruno ha comprato ottimi fichi freschi. Guido e
Daniela sono andati a fare un giretto in paese. Si salpa verso le 9.
Mare sempre calmissimo. Il cielo è un po’ velato. Fa caldo. Transitiamo
lungo la costa dell’isola ............., , scivolando davanti al
villaggio. C’è un funerale: la gente, in processione, con dei
labari, entra nella chiesetta, in riva al mare.
Si decide di spostarsi per provare ad attraccare al piccolo molo del
faro dell’isola vicina. Si prova, ma il fondale è troppo basso. Il
faro è bello, la costruzione è piuttosto grande, dotata di ampia
abitazione, che appare però disabitata (nessuno vive più isolato nei
fari, come una volta).
Si riparte e si risale verso nord fino ad una bella, ampia insenatura
dell’isola posta sulla sinistra rispetto alla nostra
direzione............ , sulla quale si affaccia, un po’
arretrato, rispetto alla costa, un villaggio: spunta un campanile
semplice, a punta, giallo, che piace tanto a Daniela. Ci ancoriamo in
una piccola cala orlata di vegetazione fitta fitta fino al mare. Il
posto è molto bello, l’acqua calda, bella: si può stare in acqua molto
molto a lungo. Sebastiano, aiutato da Bepi, pesca dei paguri. Dopo il
pranzo (speck, salame, formaggio, ecc. ) c’è calma assoluta e fa caldo.
Tutti si fa la “siesta”. Alle sei del pomeriggio di nuovo facciamo il
bagno: il mare è liscio come l’olio.
Si riparte. Il cielo è velato, c’è una luce strana, argentea. Si
avvicina un gommone con a bordo un giovane che chiede aiuto per un
caicco, carico di turisti, dal quale proviene e che vediamo in
lontananza. Sembra parlare solo inglese (oltre che la sua lingua). Dice
che il caicco è in avaria, si è bloccato il motore. Valentina fa da
interprete. Per conto di Bepi dice che noi siamo disposti a prestare
soccorso e a trainare in porto il caicco. Però Bepi comunicherà subito
alla capitaneria di porto più vicina, via radio, la segnalazione formale
dell’”emergenza”. Allora il giovane fa capire che la cosa non gli fa
piacere e poiché a questo punto il caicco sembra aver ripreso a navigare
regolarmente, si allontana ringraziando e assicurando che non ci sono
problemi (“no problem ...”). Bepi mi dice che bisogna fare molta
attenzione prima di prestare questo genere di soccorso: sono barche
gestite al solo scopo di sfruttamento intensivo di turisti, poco
equipaggiate e poco tenute in ordine, probabilmente con pochissimo
carburante, per risparmiare il quale si chiede di essere trainati con la
scusa del blocco-motore. Dal nostro punto di vista diventa impossibile
recuperare la spesa se non si segnala l’emergenza. Se però queste
barche-turistiche richiedono soccorso troppo spesso, la capitaneria
revoca la licenza al titolare.
Proseguiamo la navigazione in un mare calmissimo, grigio, luminoso. Non
si vedono altre barche in questo surreale deserto d’acqua.
Improvvisamente, in questa luce particolare, proprio al tramonto spunta
un branco numeroso di delfini, che saltano e si tuffano nell’acqua
liscia
d’argento. E’ emozionante. Bepi dirige subito la prua verso i
delfini, che non si lasciano raggiungere. Ma un gruppetto di 4-5 si
stacca dal branco e viene decisamente verso di noi: devono pur vedere
chi siamo! Si avvicinano, saltano e si immergono eleganti, passano
sotto alla nostra barca e poi si allontanano. Bellissimi!
Infine si va ad approdare ad un gavitello in una insenatura dell’isola
Silba: e precisamente al “porto Sant’Antonio”, che si trova
sulla sponda opposta del centro abitato (cioè sulla costa ovest
dell’isola). Da qui il villaggio non è visibile, ma lo si può
raggiungere a piedi in circa 20 minuti, attraverso un largo sentiero nel
bosco fitto … regno di ragni enormi!. Ormai è quasi notte. Si avvicinano
in barca due guardiani vestiti di giallo. Uno di loro parla italiano
abbastanza bene (ha lavorato nel Veneto). Ci fanno pagare il
“parcheggio” come se la barca fosse di 15 metri ed i passeggeri 6: 153
kune. Si cena a bordo.
Per tutta la sera, per almeno un paio di ore (ormai è notte e gli altri
gabbiani sono andati a dormire), un gabbiano galleggia tranquillo a
qualche metro dalla poppa, vicino al tender. Si accontenta di qualche
pezzetto di formaggio e attende paziente il lancio del boccone, senza
importunare. Forse spera di procurarsi almeno un pesciolino, visto che
Sebastiano si ostina a voler pescare con canna ed amo, ma i pesci non
abboccano: eppure se ne vedono tanti e grossi. Verso le 23 Guido e
Sebastiano fanno ancora il bagno.
La piccola baia è graziosissima. A riva, in mezzo ad un prato circondato
dal bosco, c’è una chiesetta. E’ del ‘700, dedicata appunto a S.
Antonio. I guardiani ci dicono che è un ex voto. Quando la bora soffia
cattiva, il mare è pericoloso, qui si è completamente al riparo.
Giovedì 29 giugno
Guido e Daniela sono andati di buonora al paesino, sbarcando a riva con
il piccolo canotto (il tender) a remi di bordo e poi attraversando il
bosco con relativi ragni e tele di ragno. Dicono che il villaggio non
sembra entusiasmante.
Si leva l’ancora verso le 8.30 – 9. C’è bel venticello e si naviga a
vele spiegate. Vediamo un piccolissimo molo, accanto ad una villa in
apparente abbandono, circondata da mura a protezione di quello che
doveva essere un graziosissimo giardino alberato. Proviamo ad
attraccare, ma l’acqua è troppo bassa. Io non faccio il bagno perché
l’acqua è freddissima, a detta di Wanda e degli altri che vi si
avventurano. Guido e Sebastiano nuotano verso riva (devono “conquistare”
tutte le isole in cui ci si imbatte). Sebastiano va a sbattere contro
due o tre meduse e perciò risale di corsa in barca. Effettivamente ci
sono parecchie meduse, piccole e rosa. Cercando cercando lungo la costa
dell’isola (o quella vicina, un po’ più a nord?), si arriva infine in
una piccola cala quasi in fondo ad una sorta di fiordo: acqua
bellissima, calma, blu–turchese fino a riva. I pini arrivano fin quasi a
toccare l’acqua. Si vedono e intravedono molti muretti di sassi a secco,
costruiti sulla ripida costa evidentemente molti molti anni fa (un
centinaio?) per recintare, terrazzare e ricavare fasce di piccoli orti,
ora del tutto inselvatichiti. Prima di approdare qui avevamo provato a
fermarci in un’altra piccola cala, lungo una specie di canale fra due
isole, che però si è rivelata, anch’essa, infestata da meduse. Solo per
poco tempo si è potuto andare a vela. Il tempo è sempre bello, anche se
qualche nuvolaglia “a pecorelle” c’era, ma poi si è risolta.
Si mangia a bordo di gusto: fagioli, cipolle, “capussi”, tonno,”tartine”
di pane e pomodori a bruschetta, vino bianco di S. Michele e Rotari
freschissimi; infine macedonia .
Subito dopo il pranzo faccio il bagno lungo e ristoratore (digestivo
…!), perché fa caldo afoso. Si riparte e si arriva all’isola di
Lussino. Entrando nel golfo di
Lussinpiccolo
(Veli
Losijni),
prima di arrivare in porto, sulla sinistra c’è un distributore di
carburanti nuovo: si attracca e, mentre si fa rifornimento, scendiamo
sulla banchina e ci mangiamo un gelato comprato nel piccolo
“supermercato” della stazione di servizio, dove c’è anche il bar, oltre
che servizi pulitissimi.
Si riprende il largo e, uscendo dal golfo di Lussino, andiamo verso nord
a cercarci un’altra isola lì vicina con l’intenzione di passarvi magari
la notte,
senza tornare a Lussino, che alcuni passeggeri già conoscono:
ci ancoriamo e via ...: bagno di lusso, riposo, calma. E poi ancora
bagno e abbuffata di tuffi di Sebastiano dall’alto della prua. Verso le
18 si decide però di proseguire il viaggio per un paio di ore per
portarci più verso il Quarnaro. E così Bepi e Guido iniziano la manovra
per issare l’ancora. Brutta sorpresa! Il motore funziona, ma la leva del
comando non ubbidisce: l’invertitore di marcia si è rotto e la barca va
solo indietro. Bepi prontamente riesce, per un pelo, a tenere a freno la
barca per non andare a sbattere contro la fiancata della barca ancorata
vicino a noi. Piano piano, a retromarcia, si esce dalla baia. C’è
pochissimo vento, non si può proseguire. Bepi chiama la capitaneria di
porto di Lussino, che ci manda, in perlustrazione, un poliziotto che,
con la fidanzata, è nei paraggi, fuori servizio, per i fatti suoi e con
un suo piccolo gommone a motore. Bepi spiega l’accaduto e prega che non
solo il giovane ci scorti e ci preceda, ma che ci traini in porto. Il
poliziotto nicchia. Poi si capisce che non vuole rimetterci il
carburante a causa del traino. Gli si promette che gli paghiamo 30 €uro
e così ci aggancia. Quando arriviamo all’altezza del distributore di
benzina è quasi notte. Dobbiamo arrivare fino alla banchina, a fianco
del distributore. Il poliziotto, veramente, vorrebbe mollarci e farci
ormeggiare ad un gavitello, ma Bepi si rifiuta ed insiste per attraccare
ad un molo: rimanere in balia di un gavitello, senza possibilità,
all’occorrenza, di manovrare bene la barca è pericoloso, anche perché le
previsioni del tempo non sono buone. A fianco del distributore, lungo la
banchina, c’è posto vicino ad una lussuosa barca di inglesi
(americani?). La manovra di attracco è molto difficile e pericolosa, la
barca è quasi ingovernabile e, surriscaldandosi, “va a farsi benedire”
anche il motore di prua sinistro (domani, buono buono, riprenderà a
funzionare). Il gommone del poliziotto rimane pericolosamente
schiacciato tra la banchina e la nostra barca, si spostano rapidamente
tutti i parabordi nostri e anche quelli della barca degli inglesi (che
nel frattempo sono accorsi a dare una mano per prendere le cime che
vengono lanciate dalla nostra barca), il grosso pallone paraprua e poppa
si schiaccia lungo la fiancata e si assottiglia tanto che sembra non
reggere l’urto e scoppiare. Però tutto riesce a regola d’arte, senza
danno, e Bepi può tirare un respiro di sollievo. Domani mattina, verso
le 7.30, tornerà il poliziotto per concordare con Bepi il da farsi e per
cercare chi possa verificare che cosa esattamente si è rotto e
aggiustare il guasto. Naturalmente Bepi telefonicamente avvisa
dell’accaduto la compagnia noleggiatrice della barca. Verso le 22,
finalmente ed allegramente, si cena. Siamo al sicuro. Nel frattempo
abbiamo capito che abbiamo attraccato, in realtà, non ad un molo
qualsiasi, ma ad una “marina”: paghiamo la sosta. I servizi, che
si trovano un po’ più avanti (camminando verso Lussinpiccolo), lasciano
molto a desiderare e sono quasi “nascosti”, sulla sinistra in un piccolo
edificio con delle scale di accesso, dipinto di bianco.
Bepi, Bruno e Guido hanno ancora la baldanza di andare, passeggiando,
fino a vivere la notte sul lungomare di Lussinpiccolo.
Venerdì 30 giugno
Sveglia alle 7.30. Bepi, d’accordo con il poliziotto e con la società
noleggiatrice della barca, decide di non denunciare formalmente
l’”emergenza”: le riparazioni saranno pagate direttamente dalla società,
non da noi. Camminando lungo la banchina, oltrepassati i moli della
“marina” a cui sono attraccate molte barche (non molto grandi), si
arriva al cantiere navale di Lussino, dove Bepi si accorda, per le
riparazioni, con il capo-officina del cantiere. Mentre Bepi torna alla
barca, dove sono rimasti anche Bruno, Guido e Sebastiano, noi donne e
Attilio andiamo a Lussino
(Lussinpiccolo).
Dobbiamo uscire dal cantiere e percorrere la strada che costeggia il
mare lungo un istmo, tagliato da un brevissimo canale artificiale che
mette in comunicazione il mare est con il mare ovest dell’isola. Il
ponte levatoio rimane aperto, se non ho capito male, solo di notte, e
perciò solo piccole barche o motoscafi possono normalmente, di giorno,
passarvi sotto. Si arriva in centro, sul bellissimo lungomare, dopo una
camminata di circa 20 minuti. La passeggiata è davvero bella, molto
curata, larga, orlata da case e palazzi talvolta monumentali, di
impronta “anni venti”. Di fronte, sull’altra sponda del porto, si
arrampicano sulla collina case colorate, di linea molto essenziale,
semplice, raffinata: mi colpisce la caratteristica posizione del tetto a
falda, ben diversa da quella cui siamo abituati noi. Sulla facciata
anteriore della casa non si disegnano le due solite falde che si
congiungono in mezzo, al colmo del tetto, di modo che la facciata assume
l’aspetto della casetta “a punta”. La “punta” non si vede, se non
rispetto ai fianchi laterali della casa. La falda, una sola, di tegole
rosse, appare di piatto sulla facciata e risale fino al colmo del tetto.
Le linee del colmo e della base del tetto si presentano come orizzontali
lungo le facciate principali e parallele alla riva, prospiciente verso
il mare: mi rendo conto che il tetto, così strutturato, forse offre
migliore protezione all’edificio contro il soffio violento della bora,
che da queste parti deve spirare senza pietà. Facciamo colazione ad un
bar del lungomare e poi ci incamminiamo verso il centro, su per le
strade e stradine in salita. Alle bancarelle “per turisti” si fa qualche
acquisto, anche se i prezzi ed il tipo di roba direi che sono più o meno
come i nostri. Poi ci dividiamo in due gruppi: Wanda ed Attilio vanno a
cercare da mangiare per il pranzo e, soprattutto, a cercare una
macelleria per farsi preparare ed acquistare i “rotolini” di carne mista
macinata e speziata tipici della Croazia: i “cevàpcici”. Daniela,
Valentina ed io ci infiliamo nelle strette stradine che salgono fino
alla chiesa, preceduta da un ampio piazzale ben pavimentato. Dai
piccolissimi cortili adiacenti alle case spuntano alberi e cespugli di
oleandri in piena fioritura: rossi, bianchi, rosa, rigogliosi e grandi,
molto belli.
Si torna alla barca. Fa molto caldo. I due giovanissimi meccanici sono
ancora al lavoro e si tengono in contatto, evidentemente, con il loro
capo, che viene a controllare. Guido, con il loro motorino preso a
prestito, va in paese a comprare qualcosa. Verso le due del pomeriggio
finiscono il lavoro. Mancia di 20 €uro: se la sono meritata. Hanno
lavorato tre quattro ore in un caldo pesante, dentro alla barca.
Si pranza subito: ottimi i salsicciotti-cevàpcici cucinati da Wanda.
Verso le 15 si salpa e si prende il largo. La navigazione, finalmente, è
a vela per un paio d’ore. Si attraversa il Quarnaro, il mare è
lievemente increspato, l’aria è limpida.
Si arriva in porto, alla Marina di Veruda verso le otto di sera e si
attracca al molo da cui eravamo partiti. Daniela, Wanda e Valentina
decidono che preferiscono non andare a mangiare alla Lanterna:
vorrebbero andare a vedere “la partita” (Italia-Ucraina) che si gioca
alle 21 e poi mangiare a bordo un’insalata e poco più. Bepi allora,
appunto verso le nove, disdice telefonicamente la prenotazione. Alla
spicciolata, chi non vuol perdere la partita si avvia lungo la
passeggiata della Marina e poi, proseguendo, giù giù fino ad un locale
“tedesco” sul lungomare di Veruda, dove, all’interno, in un caldo quasi
insopportabile, è stato allestito un maxischermo televisivo. Io li
raggiungo un po’ dopo, senza fretta, dopo essermi rinfrescata con una
bella doccia. Ci sono anche altri amici (Sara, la giovane skipper di
Pergine) e conoscenti di Bepi. Alla fine della partita attendiamo che ci
raggiungano, come d’accordo, anche Wanda e Attilio, che sono rimasti nei
paraggi della barca. Siccome tardano, Bepi decide di farsi portare un
piatto di fritto di pesce e se lo gusta, con patatine fritte, insieme ai
suoi amici. Finalmente arrivano i coniugi Carta e anche noi si cena
verso le 23.30. Sebastiano è “sfinito” e Wanda non mangia niente: la
famiglia Carta torna alla barca prima di noi altri. Bepi è visibilmente
sollevato: nonostante il contrattempo dell’avaria a Lussino, tutto è
andato molto bene e ci ha portati sani e salvi in porto, al sicuro. |